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Per oltre 40 anni ho cercato di affrontare i problemi applicando, in ogni modo possibile, l’unico mezzo per valutarli in modo oggettivo e arrivare quindi a fornire soluzioni condivisibili e realizzabili per porvi rimedio. Ho tentato in ogni modo di superare, sempre, l’ostacolo principale che si deve affrontare quando si inizia la ricerca della verità: il pregiudizio. L’unico modo oggettivo di affrontare qualunque tematica è quello di utilizzare il metodo scientifico, contestualizzando i dati: come e quando, dove e perché, chi o cosa, sono le domande cui si deve sempre rispondere. Occorre identificare il tempo in cui i fatti accadono o sono accaduti, identificare il luogo, lo spazio interessato allo svolgimento dei fatti stessi restringendolo all'essenziale, identificare infine quali fattori possono assumere il ruolo di parametri attivi o interattivi nello svolgimento dei fatti indagati. Occorre ricorrere ad approssimazioni per ottenere questi dati, approssimazioni che devono permettere di far luce sulla situazione studiata, fatti ed effetti ma non devono mettere in ombra altri fattori che possono, magari in seguito, diventare importanti indicatori. Il metodo scientifico permette di rendere oggettive le osservazioni ma ho imparato anche a non sottovalutare la soggettività nell'approccio. L’intuizione, il farsi un’opinione è quello che permette di inquadrare il problema ancora ignoto, di avanzare nella giusta direzione in assenza di dati certi e accertabili, di informazioni sufficienti. Spesso è proprio questa fase dell’indagine ad impedire un approccio corretto. L’opinione deve essere falsificata: guai a non farlo. Occorre uno sforzo veramente grande per lasciarsi alle spalle non tanto la soggettività ma il pregiudizio che inficia ogni ulteriore ricerca. Il pregiudizio è connaturato alla nostra formazione e può deformare il giudizio. Nessuna cosa ha un senso se non è contestualizzata nel tempo, nello spazio e nei parametri attivi. Il difficile è proprio definire questi ultimi scegliendoli come i più importanti fra i tanti che appaiono sulla scena della ricerca. Il pregiudizio ha questa specifica capacità: è in grado di alterare proprio la scena, il fondale e quindi mascherare la domanda fondamentale cui si vuole rispondere. Ho preso alcuni appunti ad un convegno sul rischio ed il pericolo. Mi confermano l'impressione che in assoluto, per tutte le persone, il maggior pericolo e conseguente rischio per la salute con effetti sicuramente letali nel tempo, sia semplicemente l'attività di vivere! Tutto il resto sono solo costosi effetti collaterali.
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EFFICACIA ED EFFICIENZA
La natura è sia efficace che efficiente
L’uomo è il risultato di mutazioni e variazioni casuali, adattamenti sequenziali, selezioni naturali avvenute nel tempo di milioni di anni, in funzione dei rapporti intercorsi tra la sua specie e tutte le altre che costituiscono, oltre a lui stesso che è un agglomerato di miliardi e miliardi di altri esseri simbiotici e l’ambiente naturale esterno nel quale vive ora, è vissuto e si è evoluto. È lo stesso ambiente nel quale continua a farlo grazie alle interazioni con tutto ciò che questo ambiente costituisce, nel quale le stesse casuali mutazioni e variazioni e progressioni evolutive per ogni essere vivente, sono state e sono tanto numerose da poter definire infinite le varietà di rapporti tra di loro. Miliardi di miliardi di miliardi di esseri che ne costituiscono la sostanza di questo “Ambiente”. Un ambiente che comprende nelle relative interazioni, le strutture inanimate che ne costituiscono il substrato solido, aereo e liquido. Centinaia di migliaia di anni di evoluzione, esperienza, adattamento, cambiamento, hanno creato l’umanità così come ora esiste e che è formata da individui simili e differenti, interagenti, ognuno una singolare combinazione di tutto quello. L’uomo ha rapporti diretti e indiretti con tutto ciò che costituisce il mondo attorno a lui e che lui percepisce in due soli modi sostanziali: positivo cioè benefico, oppure negativo. L’uomo attuale ha costituito il suo modus vivendi aggregandosi in comunità e poi articolandosi in società che si sono evolute ed evolvono comportandosi, quasi, come esseri viventi a sua immagine e somiglianza. Si sviluppano, si formano, si modificano, si ammalano si curano e guariscono oppure si estinguono sostituite da altri modelli più efficienti. Un continuo movimento. Come la medicina tenta di fare con l’uomo, le scienze sociali tentano di comprendere i meccanismi, individuarne le cause a partire dagli effetti, tentare di sviluppare farmaci e sistemi di prevenzione che proprio come questi possono solo agire sui sintomi oppure su alcune cause evidenti. La medicina, scienza fondamentale per la sopravvivenza e il miglioramento della qualità di vita, non è e non può essere una scienza esatta e altrettanto non possono esserlo le scienze sociali. I loro approcci e le loro soluzioni non possono mai garantire risultati certi ma costituire il miglior tentativo possibile per conseguirne alcuni desiderabili. Le parole che tentano di definire le tendenze sociali, globalismo, localismo, Antropocene, et coetera, sono il pallidissimo risultato di rendere evidenti queste interferenze ambientali, analisi, cure, e costituiscono ciascuna un tentativo di semplificare, standardizzare, uniformare l’uomo all'umanità, l’ambiente di vita a quello mondiale, la storia umana con la storia epocale del mondo e farlo su base statistica. Sono tutte classificazioni, basate su approssimazioni semplicistiche e tutte hanno alla base il continuo interferire di un numero elevato di individui con altri numeri di altrettanti individui. La matematica insegna che non è possibile fare previsioni di comportamento su piccoli numeri ma i grandi numeri possono offrire alcune possibilità. Le società offrono proprio questi grandi numeri mentre le comunità al loro interno non ne hanno di sufficientemente grandi. I singoli sfuggono completamente ad ogni possibile tentativo. Purtroppo, il fine e risultato ultimo di tutte le discussioni e attività sintetizzate dalle parole chiave è quello di imporre ad altri comportamenti e obiettivi solo parzialmente e non completamente condivisi cioè infine di sopraffare, sottomettere. Per questo necessitano i governi che nelle società mettono in pratica le deduzioni teoriche in nome sempre, del “bene comune”. Un gran numero di società diversamente articolate permette agli scienziati di osservare e studiarne le variazioni e gli effetti che altrimenti avrebbero tempi di sviluppo superiori a quelli di una vita umana. Le società e le comunità vengono troppo spesso sovrapposte e confrontate come se fosse possibile applicare gli stessi criteri sociali ad un popolo, ad una popolazione urbana o suburbana, a una qualunque comunità autonoma, a un qualunque aggregato di uomini. Le scienze sociali derivano dallo studio delle società umane e ne sono pure le fondamenta ma nella semplificazione e approssimazione necessarie ad osservare indurre e dedurre, nel feroce ed esteso dibattito tendente a farne emergere l’importanza rispetto le scienze esatte nella convinzione di essere sottovalutati, questi scienziati spesso dimenticano quella fondamentale. Una semplificazione approssimativa che vale per le società ma che per ogni individuo necessita di una risposta individuale, più rapida, più immediata: è positivo o negativo per me stesso e i miei cari? Cosa si deve valutare allora? L’individuo, uomo, essere umano con priorità e necessità singolari ed immediate, con un intorno limitato e ben definito di persone a lui care e interconnesse una comunità ben definita e identificata cui appartiene come valore assoluto oppure trascurarlo completamente sommergendolo nel valore statistico utile alla società dei grandi numeri? Proprio come per la medicina una società più sana sarà composta da individui più sani, nelle scienze sociali una società migliore sarà composta da individui più contenti. Gli ammalati, gli individui sofferenti o a disagio, saranno affidati alla cura di un gruppo di specialisti che tenteranno di trattarli come eccezioni alla regola. I morti infine con le relative cause di morte saranno compresi nel numero statistico degli irrecuperabili insuccessi. Una semplice percentuale di cui tener nota. Sono tutti in buona fede. Lo sono coloro che considerano sia deleterio modificare la base biologica dell’uomo e quella del suo ambiente esterno, ostacolando ed opponendosi a spada tratta ogni tipo di ricerca e applicazione tecnologica che ne derivi. Lo sono gli altri che sostengono la stessa ricerca motivandola con la necessità di rispondere a bisogni impellenti: tanto la natura si modifica continuamente e casualmente dunque si tratta solo di operare una selezione delle possibilità utili e accelerarne lo sviluppo. Lo sono alcuni che creando nuovi organismi, poco differenti da quelli che esistono in natura e nuovi prodotti derivati ritengono di fare il bene comune, altri no perché ritengono a prescindere, pregiudizialmente che siano comunque dannosi, non conoscendone gli effetti sul lunghissimo periodo. Lo sono quelli che ritengono tutto misurabile quantificabile e confrontabile, come quelli che ritengono casuale o predestinato il presente e il futuro. Quelli che ritengono il sacrificio gratificante e quelli che lo ritengono umiliante. Hanno tutti ragione. Tranne che su un punto: arrogantemente sottovalutano la natura. Nella storia sono noti episodi di interventi naturali efficaci che hanno approfittato della presenza umana concentrata per operare gli effetti selettivi e migliorativi, secondo Lei necessari a sostenere la sua biodiversità efficiente. Pandemie virulente e micidiali, dalla peste al colera, al vaiolo etc, hanno sterminato milioni di individui cambiando loro e le loro regole sociali con estrema rapidità ed efficacia, ricordando agli uomini che a comandare non sono loro ma le comunità e società di piccoli, piccolissimi esserini che a miliardi di miliardi si aggregano per conquistare territori e risorse che ne permettano sopravvivenza ed espansione, proprio come facciamo noi: si chiamano batteri e virus. Ne basta una sola comunità di loro che all'interno della società in cui è inserita si mostri aggressiva, motivata, portatrice di qualche innovazione, per sconvolgere qualunque stratificazione di usi costumi, componenti e pensiero. C’è differenza tra efficacia delle azioni ed efficienza dei sistemi. Nel frattempo, mentre la natura fa il suo corso cambiando le cose come il clima, il livello e l’acidità dei mari, la delocalizzazione delle zone di riproduzione, la meteorologia e i suoi effetti terremoti vulcani e fulmini riformattano il substrato, anche l’uomo fa la sua parte: l’inquinamento a livello locale, con ampio margine geografico prosegue imperterrito ad accelerare i processi di degradazione degli ambienti della sua vita; in ogni dove nel mondo è presente ed attiva ma tutt'altro che uniformemente diffusa e condivisa la conoscenza dei processi naturali che la ricerca scientifica dovrebbe approfondire. L’economia finanziaria detta le sue condizioni. Il risultato è purtroppo una assoluta difformità di comportamenti positivi risultato di una conoscenza, quella che viene dall'esperienza diretta fatta dalle varie popolazioni nei loro ambienti ed acquisita corso dell’evoluzione assolutamente differente e difficilmente standardizzabile, comportamenti che faticano a diffondersi e propagarsi. Il contagio in questo caso sarebbe positivo. Dilagano invece quei comportamenti emulativi che risultano negativi a livello globale ma appaiono e vengono percepiti come positivi da chi, per la prima volta, li mette in atto. Solo la ricerca e la tecnologia possono efficacemente accelerare l’uniformità dei risultati raggiungibili, e un più rapido effetto di questi. Purtroppo, la scienza e la tecnologia sono appannaggio di pochi, relativamente, soprattutto sono controllati dall'economia e non dallo umanismo. Il prezzo ovviamente è squilibrio sociale ed anche biologico. Qualcuno pensa che l’uomo debba far da sé, altri che molto debba essere delegato: l’uomo? L’umanità? La comunità di uomini? La società di alcuni uomini? Chi dovrebbe fare e chi delegare? La discussione appare fine a sé stessa e comunque resta un meccanismo indispensabile anche se il suo eccesso risulta spesso tanto gratificante quanto improduttivo. Parlando sempre di concetti si smette di parlare di cose concrete che mano a mano, si perdono di vista. Efficienza ed Efficacia. È lecito a questo punto chiedersi quale sia il ruolo della tecnologia e quale vantaggio oltre che quale svantaggio possa apportare, come e dove? Quando sia disponibile, presente ed applicata, essa consente di ottenere dei risultati maggiori con uno sforzo minore: è un fatto. Tuttavia, ha l’handicap di essere disponibile a pochi, relativamente all'intera umanità bisognosa; di essere costosa e dunque funzione derivata esclusivamente dell’economia cioè sempre controllata da pochi e finalizzata all'incremento dei guadagni e della loro ricchezza; può portare a risultati catastrofici se applicata senza una piena, consapevole coscienza e motivazione anche sociale ed una visione globale. La produzione della tecnologia meccanica ed elettronica soprattutto, ha indubbiamente effetti importanti, non bisogna dimenticarlo, più deleteri che positivi, sull'ambiente esteso: si chiama impronta ecologica. In sintesi: è sicuramente positiva a casa nostra ma fa sicuramente male a casa d’altri. È fonte di potere perché di fronte ai benefici evidenti tutti la vogliono e non è possibile, non è economicamente conveniente. Anche a “casa nostra” non tutti gli effetti sono decisamente positivi, poiché il ricorso massiccio alla tecnologia tende ad atrofizzare le nostre capacità umane appiattendo anche le caratteristiche che viene ad assumere una società tecnologicamente evoluta. Disumanizza? È certamente un cambiamento nella definizione di uomo nei suoi obiettivi, nelle sue capacità e motivazioni, nella definizione del suo stato complessivo di benessere psicofisico. Un effetto immediatamente riscontrabile tra le comunità tecnologicamente avanzate e quelle meno dotate è nel tipo e nella qualità della comunicazione tra persone. L’empatia scompare nella comunicazione elettronica, il linguaggio si atrofizza e l’uso delle parole diminuisce a favore di simboli e immagini. Apparentemente in contrasto, l’umanità concentra un numero sempre maggiore di uomini nelle megalopoli pur potendo comunicare facilmente a distanza e per questo, non si forma alcun nuovo legame comunitario. Nessuno conosce personalmente e veramente i bisogni dell’altro, del vicino e viceversa. I prodotti della terra non si producono in città ma si acquistano, senza più chiedersi cosa sono, da dove vengono come sono fatti. Qualcuno vive di ricordi e suppone esista un mondo parallelo dove le galline scorrazzano nel verde, i maiali mangiano ghiande nei boschi, mucche e pecore pascolano felici sui monti incontaminati. È l’immagine che viene mantenuta dagli spot pubblicitari. Si supera anche il concetto di strada, negozio, bottega, mercato, supermercato, allontanando progressivamente da noi stessi l’esperienza naturale. La gente nasce, vive, muore e nessuno tranne i pochissimi con cui avevano rapporti necessari, li conosce. Società dunque, comunità, clan, famiglia, individuo, umanità frammentata, divisa e bellicosa alle prese con gli effetti locali di una natura unitaria che agisce globalmente senza nessuna remora o discussione, efficacemente, efficientemente, rapidamente e per periodi di lunghezza inimmaginabile. Tutte realtà che possono godere della capacità tecnologica, scientifica, economica per migliorare assieme ma che invece rischiano l’estinzione o quantomeno una massiccia riduzione numerica proprio a causa del cattivo, limitato, egoista, uso proprio di quella stessa capacità.
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