Lupi, uomini e orsi, incontrastati dominatori delle lande aspre e selvagge dell’Alaska.

Uomini, lupi e leggende. I cacciatori, quelli che abitavano lassù nel nulla e che di caccia vivevano, lo dicevano: non c’era possibilità di una caccia grossa senza che i lupi spingessero le prede verso di loro; le prede venivano spartite coi lupi, era così da generazioni a memoria d’uomo e quegli uomini rispettavano la tradizione. Il cibo è cibo, il cibo è vita e la vita è migliore se non si rischia di perderla, ogni secondo che passa, per conquistare il cibo. Regole non scritte ma profondamente incise nel DNA di tutte le specie animali che condividevano l’immenso territorio.

Un pilota d’aereo in Alaska. Avanti e indietro sorvolando territori immensi e vuoti, un sacrario della natura ancora incontaminato, portando alle remote stazioni di ricerca e alle isolate, rarissime fattorie autorizzate, materiali e attrezzature necessarie. Era l’unico modo per quegli uomini che vivevano fuori dal mondo di rimanere in contatto con la civiltà della quale non potevano più fare a meno nonostante le scelte di vita.

Lui guardava sempre, trasognato, i paesaggi che sorvolava, sognando un giorno di poterli attraversare: sognando un’avventura nella natura.

Un incidente, il suo aereo si era schiantato durante una missione, chissà dove? Lui si era salvato ma le possibilità di sopravvivenza erano minime, i soccorsi avrebbero avuto difficoltà a trovarlo: lui doveva sopravvivere.

Un uomo ordinato, civile, ciecamente fiducioso della tecnologia, arrogantemente certo di conoscere la natura che amava e rispettava, apparteneva ad una dinastia di uomini di origine locale i cui antenati risalivano alle popolazioni primordiali: lo aveva accertato una ricerca sul DNA delle popolazioni autoctone, popolazioni che abitavano quei territori da oltre diecimila anni.

Voleva un’avventura nella natura ed ecco che l’aveva, l’avrebbe vissuta davvero: i soccorsi l’avrebbero trovato o in ogni caso lui sarebbe tornato a casa, ma non conosceva la natura quanto credeva e avrebbe dovuto sopravvivere tutto il tempo necessario.

La leggenda diceva che i lupi possedevano l’anima di uomini che avevano perso la vita nelle foreste e un uomo che avesse combattuto e vinto in uno scontro alla pari con un lupo ne avrebbe riconquistato l’anima: l’anima di un lupo che li avrebbe accomunati per sempre. I lupi avevano una memoria secolare che trasmettevano di generazione in generazione non avrebbero mai dimenticato qualcuno che era stato uno di loro.

I lupi, sovrani assoluti delle foreste e gli uomini: sono intelligenti, razionali, pianificatori, collaborano tra loro e sono capaci di improvvisare.

La sua unica possibilità di sopravvivenza; una grotta, un antro in cui forse avevano abitato uomini per secoli, quegli antichi uomini che avevano decorata la caverna e dai quali era certo di discendere.

Ritornare a casa da quei luoghi sperduti sarebbe stato impossibile senza la guida dei lupi: loro si sarebbero diretti verso le zone a sud, dove le mandrie di caribù e renne migravano seguendo le stagioni e dove anche i cacciatori si sarebbero trovati: doveva seguirli e sopravvivere facendolo.

I loro ululati e richiami rimbalzavano nel paesaggio, come le strisce verdi e viola dell’aurora danzavano in cielo: la sua guida.

Sopravvivere non sarebbe stato facile ma lui sarebbe diventato come un lupo; solitario, avrebbe viaggiato da solo attraverso le foreste selvagge e inospitali che erano il loro mondo e che lui avrebbe attraversato come un intruso incapace, ma li avrebbe avuti come compagni, non li temeva, li rispettava.

Camminare, fermarsi, mangiare, bere, cercare un riparo, raccogliere legna, accendere il fuoco e ululare il suo richiamo e saluto agli unici compagni che riconosceva, e che puntualmente gli rispondevano, a volte lontani a volte più vicini: il ritorno all’umanità, la sua motivazione profonda, l’obiettivo che lo spingeva e che lo avrebbe spinto avanti fino al limite. 

Il sentiero, la pista, saliva mantenendo una pendenza quasi costante salvo per qualche sbalzo, girando attorno a grossi massi e cespugli; man a mano che saliva, il suo sguardo spaziava su un territorio immenso che emergeva sempre di più davanti ai suoi occhi dalla foschia azzurrina che lo ricopriva come un velo sottile: un territorio selvaggio, meraviglioso, e vuoto di uomini, senza nulla che non fossero alberi, rocce, montagne, foreste e vallate, che si susseguivano l’una all’altra.

Forse aveva davvero l’anima di un lupo dentro di sé ma era comunque un uomo e la natura non fa sconti: o vinci o perdi, nessuna possibilità di contrattazione, di mediazione, nessuna alternativa; prede e predatori, erbivori e carnivori, in eterna competizione, l’ambiente decisamente ostile, il freddo e la pioggia i veri nemici che annullano tutto il meraviglioso splendore rendendolo malinconico, la forza mentale duramente compromessa: non era un luogo adatto agli uomini.

Il fisico quanto la mente messe a dura prova nella solitudine di un viaggio dall’apparente impossibilità di avere una fine; lui aveva un fine, un obiettivo, lui sarebbe tornato a casa, o comunque ci avrebbe provato, non avrebbe mollato; doveva muoversi, non aveva alternative.

Era pericoloso, estremamente pericoloso ma lui aveva una briciola dell’anima di un lupo: catturata da un suo antenato che aveva combattuto e preso la vita di un lupo; i lupi lo sapevano, dovevano saperlo, i lupi lo avevano aiutato rispettandolo, lui si fidava dei lupi, lui voleva fidarsi, “Questa è la libertà e domani arriverà comunque; i lupi ricordano il passato e vivono il presente: domani arriverà comunque!” era vivo, questo importava, i lupi non si ponevano il problema di ieri e di domani, vivevano nell’oggi, nel presente, e lo vivevano completamente e al meglio delle loro possibilità: lui sarebbe tornato a casa.     

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